Questo è il tipo di persona che soffre più spesso di fobie irrazionali, secondo la psicologia
Ti è mai capitato di vedere qualcuno andare completamente in panico per un ragno grande quanto un chicco di riso? O magari conosci quella persona che preferirebbe salire 20 piani a piedi piuttosto che prendere l’ascensore? Se pensi che le fobie colpiscano a caso, ti sbagli di grosso. La psicologia clinica ha scoperto che esiste un vero e proprio identikit della persona più vulnerabile a sviluppare paure irrazionali. E spoiler alert: probabilmente è molto diverso da quello che immagini.
Secondo le ricerche più recenti pubblicate da esperti di psicologia clinica, le fobie non sono affatto casuali. Esistono specifici tratti di personalità che rendono alcune persone vere e proprie “calamite” per questi disturbi d’ansia. Ma prima di pensare che si tratti di debolezza caratteriale, lascia che ti spieghi cosa succede davvero nel cervello di chi sviluppa fobie.
Il nevroticismo: il “super potere” che nessuno vuole avere
Il primo protagonista di questa storia si chiama nevroticismo, e no, non è quello che pensi. Non stiamo parlando di persone “nevrotiche” nel senso comune del termine. Il nevroticismo è un tratto di personalità scientificamente riconosciuto che indica la tendenza a sperimentare emozioni negative in modo più intenso e duraturo rispetto alla media.
È come avere un amplificatore emotivo sempre al massimo volume: quando provi paura, ansia o stress, questi sentimenti arrivano a livello 10 invece che 5. Le ricerche condotte dal team di Malouff e colleghi hanno dimostrato attraverso una meta-analisi che le persone con alto nevroticismo presentano una vulnerabilità significativamente maggiore ai disturbi d’ansia, comprese le fobie specifiche.
Ma ecco il plot twist: questo non è necessariamente un difetto. Chi ha punteggi alti di nevroticismo spesso possiede una sensibilità emotiva che può tradursi in maggiore empatia, creatività e capacità di percepire sfumature che altri perdono completamente. Il problema sorge quando questo “super potere” emotivo si scontra con stimoli che il cervello interpreta erroneamente come pericolosi.
La combo letale: ipersensibilità più evitamento
Se il nevroticismo è il primo ingrediente della “ricetta delle fobie”, l’ipersensibilità agli stimoli è il secondo. Gli studi di Aron e Aron hanno identificato un tratto chiamato “sensory processing sensitivity” – praticamente, alcune persone hanno un sistema nervoso che funziona come un microfono ultra-sensibile.
Queste persone notano rumori che altri ignorano, percepiscono odori più intensamente, e soprattutto, registrano come potenzialmente minacciosi stimoli che la maggioranza considera neutri. Un ragno che cammina sul muro non è semplicemente “un ragno”: è un movimento improvviso, imprevedibile, qualcosa di completamente alieno rispetto all’esperienza umana.
La vera magia nera accade quando l’ipersensibilità si combina con la tendenza all’evitamento. Le ricerche longitudinali di Biederman hanno seguito bambini particolarmente timidi e inibiti, scoprendo che quelli con forte inibizione comportamentale avevano probabilità significativamente maggiori di sviluppare fobie nell’età adulta.
La vergogna: l’emozione segreta che alimenta le fobie
Qui arriviamo a uno dei fattori più sottovalutati e affascinanti: il ruolo della vergogna. Non quella normale che provi quando inciampi davanti a tutti, ma quella profonda, viscerale, che ti fa sentire “sbagliato” nel midollo delle ossa.
Paul Gilbert, uno dei massimi esperti mondiali di psicologia della vergogna, ha pubblicato ricerche rivoluzionarie che mostrano come le persone prone alla vergogna abbiano un sistema di allarme sociale ipersensibile. Quando si trovano di fronte a una situazione fobica, non stanno solo elaborando la paura dell’oggetto in sé, ma anche il terrore paralizzante di essere giudicate per la loro reazione.
È un doppio carico emotivo devastante: da una parte la paura irrazionale, dall’altra la vergogna per aver paura. Il risultato? Un circolo vizioso che rinforza e mantiene la fobia nel tempo, rendendola sempre più intensa e difficile da superare.
Il cervello che vede mostri ovunque
Ma cosa succede esattamente nella mente di chi sviluppa fobie? Gli studi di Beck e Clark hanno identificato pattern cognitivi specifici: queste persone tendono sistematicamente a sovrastimare i pericoli e sottostimare le proprie capacità di far fronte alle situazioni difficili.
Non è che siano persone “negative” in generale. Anzi, spesso sono incredibilmente attente, premurose e capaci di cogliere dettagli che sfuggono completamente agli altri. Il problema è che questo stesso meccanismo mentale, quando si attiva in modalità “scansione pericoli”, diventa iperattivo e inizia a vedere minacce ovunque.
Un ascensore smette di essere un semplice mezzo di trasporto e diventa una trappola di metallo sospesa nel vuoto. Il cervello inizia a calcolare probabilità immaginarie di guasti, a visualizzare scenari catastrofici, a preparare il corpo per una fuga che, nella realtà, non serve assolutamente a nulla.
DNA e ambiente: quando i geni decidono per noi ma non completamente
Ora arriviamo alla parte che forse ti interesserà di più: quanto conta la genetica in tutto questo? Le ricerche di Hettema e del suo team hanno analizzato migliaia di famiglie e coppie di gemelli, scoprendo che esiste effettivamente una componente ereditaria significativa nelle fobie.
Ma attenzione: non esiste un “gene della fobia dei ragni” o della “claustrofobia”. Quello che si eredita è molto più sottile e interessante: una predisposizione neurobiologica a processare le minacce in modo più intenso, una maggiore reattività del sistema nervoso autonomo, una tendenza a mantenere alti livelli di attivazione anche dopo che il pericolo percepito è passato.
È come ereditare un’auto con i freni più sensibili della media: non è rotta, ma reagisce diversamente agli stessi stimoli. E qui entra in gioco l’ambiente: crescere in una famiglia dove le paure vengono amplificate anziché ridimensionate può trasformare una semplice predisposizione in una fobia conclamata.
L’apprendimento che non dimentica mai
Uno degli aspetti più affascinanti delle fobie è come spesso si formino senza che sia necessaria un’esperienza traumatica diretta. Rachman, pioniere negli studi sui disturbi d’ansia, ha identificato tre modalità di apprendimento delle fobie che spiegano perfettamente questo fenomeno.
- Apprendimento diretto: essere effettivamente morsi da un cane o rimanere bloccati in ascensore
- Apprendimento vicario: vedere qualcun altro terrorizzato dai cani o dagli spazi chiusi
- Apprendimento informativo: sentire storie spaventose o vedere film che mostrano questi pericoli
Le persone con i profili psicologici che abbiamo descritto sono particolarmente vulnerabili all’apprendimento vicario e informativo. La loro memoria emotiva registra e conserva queste esperienze indirette con una precisione e un’intensità che spesso supera quella dei ricordi reali.
È per questo che puoi sviluppare una fobia mortale dei serpenti pur non avendone mai visto uno dal vivo, o terrorizzarti all’idea di volare pur non essendo mai salito su un aereo.
Il sistema emotivo che non sa spegnersi
Un altro pezzo fondamentale del puzzle è rappresentato dalla disregolazione emotiva. Le ricerche di Mennin hanno dimostrato che le persone più prone alle fobie hanno spesso difficoltà a “spegnere” le emozioni negative una volta che si sono accese.
È come avere un sistema di raffreddamento emotivo meno efficiente: ci vuole molto più tempo per tornare alla calma dopo un’attivazione intensa. Questa caratteristica non riguarda solo la paura, ma tutte le emozioni negative. Chi sviluppa fobie spesso fatica anche a gestire rabbia, tristezza, frustrazione.
Il risultato pratico? Dopo aver incontrato l’oggetto della propria fobia, invece di calmarsi gradualmente come farebbe la maggior parte delle persone, rimangono in stato di allerta per ore o addirittura giorni, consolidando sempre di più l’associazione “stimolo = pericolo mortale”.
Riconoscersi senza condannarsi
Se leggendo fin qui ti sei riconosciuto in molte di queste descrizioni, fermati un momento e respira. Avere questi tratti di personalità non è una sentenza di morte sociale, né significa che sei destinato a vivere terrorizzato da ragni, ascensori o spazi aperti per il resto della tua vita.
Anzi, molte delle caratteristiche che predispongono alle fobie sono anche incredibili punti di forza in altri contesti. L’ipersensibilità può renderti più empatico e creativo. L’attenzione ai dettagli può essere preziosa in professioni che richiedono precisione. La capacità di percepire potenziali pericoli può essere utilissima in situazioni realmente rischiose.
Il punto non è cambiare radicalmente chi sei, ma imparare a gestire meglio le tue caratteristiche psicologiche, soprattutto quando ti creano disagio nella vita quotidiana.
La buona notizia che cambia tutto
Ecco il colpo di scena finale che probabilmente non ti aspettavi: le fobie sono tra i disturbi psicologici più facilmente trattabili che esistano. Le meta-analisi di Hofmann e Smits hanno dimostrato che la terapia cognitivo-comportamentale, in particolare le tecniche di esposizione graduale, mostrano tassi di successo che spesso superano l’80%.
Questo significa che, indipendentemente dal tuo profilo di personalità, indipendentemente da quanto intensa sia la tua fobia, indipendentemente da quanto ti sembri radicata nella tua storia familiare, esistono strumenti scientificamente validati per superarla. Le tecniche moderne di terapia dell’esposizione e gli approcci basati sulla mindfulness hanno rivoluzionato il trattamento di questi disturbi.
Conoscere i meccanismi psicologici che abbiamo esplorato non serve per rassegnarsi o etichettarsi, ma per comprendersi meglio e affrontare eventuali problemi con maggiore consapevolezza e minor senso di colpa. Le fobie non definiscono chi sei: sono semplicemente il risultato di un incontro particolare tra le tue caratteristiche neurologiche, psicologiche e le tue esperienze di vita.
La prossima volta che vedrai qualcuno andare nel panico per qualcosa che a te sembra innocuo, ricordati che dietro quella reazione apparentemente “esagerata” c’è un universo psicologico complesso e affascinante. E soprattutto, ricordati che non c’è nulla di cui vergognarsi nell’avere paura: c’è solo qualcosa da capire e, se necessario, da cambiare.
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