Dopo 13 gravidanze che non arrivavano in fondo, Fosca e Adriano, i genitori di don Paolo Bargigia,  salirono nel 1959, forse ormai senza grandi speranze, ad affidarsi alla Madonna di Bocca di Rio. Dal momento in cui Fosca rimase incinta, capirono che questa volta Maria aveva fatto loro la grazia. Paolo nacque di sette mesi il 2 febbraio 1960, giorno della Presentazione di Gesù al Tempio, ma la Madonna lo portava in braccio e lui sopravvisse e crebbe bene, divenne un ragazzo sveglio e pieno di carisma, aperto e creativo. Fin da bambino un capopopolo, negli scouts, in parrocchia a San Iacopino e poi con i ragazzi di Comunione e Liberazione. La sua passione per la musica, la capacità di dirigere i canti e la voce intonata, la schiettezza del carattere, erano una calamita per tanti che lo sentivano come l’amico più grande, e questo dono l’ha portato tutta la vita, frutto della sua passione perché tutti conoscessero Gesù.

   Dopo le superiori, ormai perito elettrotecnico, quando disse ai suoi che il Signore lo chiamava ad essere sacerdote, Adriano e Fosca tornarono a Bocca di Rio, come avevano fatto ogni anno, ma questa volta “arrabbiati” con Maria, alla quale rinfacciavano di essere stati ingannati: aveva dato loro un figlio, ma quando avrebbe potuto cominciare a lavorare, e poi sposarsi e dar loro un nipotino, lo aveva ripreso. Entrarono nel Santuario e non sapevano che quel giorno era la giornata delle vocazioni. Proprio in quel momento il sacerdote, sconosciuto, stava dicendo: “guai a quelle famiglie che ostacolano la vocazione di loro figlio…”. La Madonna aveva loro risposto, e si misero l’animo in pace.

   Paolo intanto diventava sacerdote e continuava a creare un popolo a Dio, seguendo don Giussani,  nell’amicizia con altri preti, tra cui io, chiamati insieme a dare la vita nel sacerdozio. Quando ormai i suoi genitori se n’erano andati da Gesù, accolti dalla Madonna, Paolo mi raggiunse in missione in Perú, per l’ultima misteriosa tappa della sua vita.

   Anni di grande letizia e di grande lavoro, di fatiche e di frutti bellissimi, fino a quando, nel settembre del 2014, cominciò l’ultima stazione, la più difficile, ma forse anche la più feconda.

     Si ammalò di SLA, questa malattia tremenda che in poco tempo gli tolse progressivamente l’autonomia fisica, e fece salire a galla il tesoro del suo cuore tutto preso da Cristo. “Una vocazione nella vocazione, il mio modo di essere missionario” diceva.

   Lo disse anche a Papa Francesco, quando lo ricevette per più di un ora nel suo studio e quando, alla fine del dialogo, Paolo chiese al Papa di pregare perché potesse sempre fare la volontà di Dio, Papa Francesco gli rispose: “No! Io prego perché tu sia felice, facendo sempre la volontà di Dio!”. Poi Paolo consegnò al Papa un’immagine della Madonna di Bocca di Rio, che portava sempre con sé, avendogli raccontato la sua storia. Il Papa allora gli disse: “La terrò sul mio comodino perché ci devo bisticciare un po’ per capire perché ti ha voluto condurre per questa strada dolorosa”.

   Paolo tornò da quell’incontro con una serenità che non lo abbandonò più e che faceva della sua camera un luogo sacro, dove le tante e tante persone che l’hanno accompagnato fino al 24 agosto del 2017, quando Gesù lo ha preso con sé, entravano in punta di piedi come un luogo sacro. Da lì infatti si usciva cambiati. A gloria di Gesù e di Maria.

 

don Giovanni Paccosi

 

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